L’arte di sofisticare gli alimenti

L’arte di sofisticare gli alimenti fa parte della storia dell’uomo, non esiste secolo o città in cui qualche artigiano o industria non abbia tentato di abbassare i costi di produzione con stratagemmi poco salutari. Nei mercati romani del 1200 si vendeva farina mescolata al gesso e l’abitudine era così diffusa da costringere le autorità a fare controlli costanti (mettevano la polvere nell’acqua aspettando la separazione degli elementi). Il pane realizzato con quel mix, inoltre, risultava più pesante, aumentando i guadagni dei panificatori. Ma le adulterazioni, nel corso della storia, non si sono limitate a questo: in epoca medievale le donne che portavano le carni da arrostire nei forni privati erano solite apporre un marchio a fuoco sulle stesse per evitare che ci fosse una sostituzione con animali più “domestici”; il burro irrancidito, nel ‘600, veniva mescolato con erbe aromatiche per nascondere sapore e odore putridi (da qui nasce la tradizione francese dei burri aromatizzati); nell’Inghilterra dell’ ‘800 il gin veniva “tagliato” con acquaragia e così via…

Cambiano i secoli ma la natura dell’uomo rimane pressoché invariata.
Nel 2014 un’amica, dipendente di una delle più note aziende italiane alimentari, mi invita a seguirla al porto di La Spezia per assistere all’arrivo della farina dalla Cina. Dalla stiva della nave veniva pompata, nei camion silos, una polvere verde intenso. Solo dopo qualche ora ho realizzato che il colore dipendeva dalla quantità di muffa. Dobbiamo considerare che la farina ha viaggiato per 2 mesi stipata al buio e con tassi di umidità elevatissimi, due condizioni, queste, che favoriscono lo sviluppo di funghi e muffe.
Ci sono regole da rispettare quanto alla massima tollerabilità della percentuale di tali batteri, quindi cosa fa l’industria? Mescola farine provenienti da varie nazioni sino ad ottenere il tasso consentito ed aggiunge sostanze chimiche affinché non si sviluppino nuovamente durante la permanenza nei silos (a volte dura anche due anni). E i costi? Una recente indagine di mercato ha dimostrato che le farine bio provenienti dall’Ucraina (terzo importatore in Italia dietro Cina e Canada), costano all’ingrosso 20 cent al Kg, trasporto incluso.
Il 70% delle farine (grano duro, bio, semola, tipo 0, 00, manitoba), arriva dall’estero. Perché? Costano meno, arrivano da paesi la cui normativa non è restrittiva come quella italiana sull’uso di alcuni pesticidi. Due ragioni che reggono perfettamente la teoria del profitto a scapito della salute (degli altri).
Quanto detto vale anche per i legumi con cui viene prodotta la pasta ora in voga (100% lenticchie, ceci ecc..). Tutta materia prima estera con certificazione bio.

Saper leggere le etichette è un’arma di difesa importante, consente di discriminare alcuni prodotti e capire cosa comprare. Il “made in Italy” presente su molte etichette spesso si riferisce alla produzione, non alla coltivazione.
Ci sono anche storie di sofisticazioni fatte semplicemente registrando un marchio: il khorasan egizio, chiamato Saragolla in Italia, è stato brevettato (semente inclusa) da una multinazionale canadese che lo ha chiamato Kamut (iscrivendo il brevetto del seme a livello internazionale). Alla stessa stregua il radicchio rosso di Treviso è una semente registrata e di proprietà di una multinazionale irlandese (si è perseguibili penalmente nel caso in cui si tenti di autoprodurre i semi).
E’ di recente divulgazione la notizia che la Monsanto ha realizzato semi sterili, dai quali nasce la pianta che genera semi non più coltivabili perché “morti”.

L’industria ha trovato il modo di generare profitti continui, violando ogni legge di natura.
Nemmeno le tecniche di produzione della pasta sfuggono alla logica del profitto: la pasta industriale è trafilata in acciaio (così aumenta la produzione oraria) ed essiccata in altiforni per qualche decina di minuti dopo essere stata cosparsa con polvere di silicio (per estrarre più rapidamente l’umidità).
Ben diversa dall’essiccazione in 18 ore a max 40° che applichiamo alla nostra pasta.
Anche la lista ingredienti di questo alimento non è così scontata…. Acqua e farina sono state affiancate da mono e digliceridi degli acidi grassi. Questi sono additivi prodotti chimicamente a partire da glicerina da acidi grassi naturali (principalmente di origine vegetale, ma anche di origine animale). Il composto ottenuto è un insieme di più composti e ha una composizione simile al grasso naturale parzialmente digerito. I mono e digliceridi degli acidi grassi presentano principalmente una funzione emulsionante e stabilizzate, ma anche antiossidante, gelificante e di supporto per coloranti. Possono essere presenti in molti alimenti, anche nel pane comune, nel riso a rapida cottura, nei dessert, nei gelati confezionati…
Mi riferisco, nello specifico, alla pasta glutenfree dell’azienda italiana nota per la “lentezza” della produzione.
In conclusione credo che la sofisticazione alimentare, così come l’inganno ad opera di campagne marketing ben organizzate (il Senatore Cappelli è un cerale antico?), sia intrinseca alla natura umana e si fondi sulla mancanza di cultura, di consapevolezza. Vi invito quindi ad approfondire, ricercare, studiare ed andare oltre le notizie fake che talvolta abbondano sui social.

Monia Caramma, fondatrice di Agricultura Biologica Srl