L’incontro con lo shiatsu

Condividiamo volentieri la testimonianza di una futura operatrice shiatsu e il suo incontro con quest’arte, augurando a chi si riconosce in questa esperienza di intraprendere un percorso altrettanto ricco di soddisfazioni.

“Mi piacerebbe condividere con quanti avranno modo o interesse a leggere queste righe alcuni pensieri e riflessioni scaturite alquanto spontaneamente sia dalla mia esperienza personale che dall’incontro con lo shiatsu, avvenuto presso la Scuola Internazionale di Shiatsu Italia. Incontro che, nel suo procedere, si sta facendo portatore di molti nuovi stimoli e contenuti, capaci di promuovere un lento e progressivo cambiamento interiore, sia a livello intellettivo che fisico, in un’ottica a mio avviso di maggior apertura, disponibilità e ascolto tanto verso gli altri quanto verso se stessi.
E come ogni storia, il racconto parte un po’ dai suoi antefatti e da una serie di premesse che ne hanno costituito i presupposti, e di cui provo a rendervi partecipi.
La maggior parte dei miei interessi e la mia formazione sino ad ora hanno sempre preso l’avvio e si sono declinati prevalentemente in tre direzioni: la psicologia innanzitutto, ma anche la scrittura e la comunicazione.
I meccanismi mentali, affettivi e relazionali che muovono e governano le persone che ho avuto modo di avvicinare hanno sempre rappresentato per me oggetto di studio e approfondimento e, seppur non dimenticando che tali persone ovviamente posseggono anche un corpo che spesso è lo stupefacente involucro e contenitore di tutto ciò, nel tempo ho acquisito sempre più consapevolezza di avere a volte un po’ relegato l’importanza del corpo a una fenomenologia quasi di serie B rispetto a quella della psiche.
Non che mi fosse estranea l’idea di moltissime e profonde correlazioni tra psiche e soma, peraltro sempre più evidenziate da parecchi studi scientifici anche di medicina tradizionale occidentale ormai orientati a riconoscere l’origine di tanti malesseri e malattie nella psicosomatica. Ciononostante, l’attitudine della nostra cultura e tradizione continua ad essere quella di dicotomizzare tali discipline e guardare all’uomo con la tendenza ad analizzarlo più attraverso un processo sempre alquanto parcellizzato, che non in una dimensione più sistemica e volta a cogliere gli aspetti maggiormente individualizzati o di reale unitarietà tra mente, corpo e anima.
In sostanza è molto più facile ed istintivo per noi valutare e capire i fenomeni che ci caratterizzano isolandoli e separandoli quasi come frammenti, piuttosto che comprenderli in una struttura globale come un vero e proprio continuum.
Ma poco più di tre anni fa due esperienze particolarmente toccanti e dolorose mi misero ancora più a contatto con tutte queste considerazioni e tematiche, nonché decisamente al palo di fronte al senso del limite della parola, dei molti inganni della mente e della portata di così tante contraddizioni insite nel concetto di cura.
Una mia cara amica, donna estremamente vivace e attiva anche sul piano fisico, all’improvviso si ammalò di sclerosi multipla, senza riuscire assolutamente ad accettare a livello psicologico la propria malattia. Tutti i supporti che le potevano venire da un intervento professionale di tipo psicoterapeutico si mostravano relativamente efficaci, ma era molto più favorevole e ricettiva a un lavoro sistematico e profondo sul suo corpo. Iniziò una terapia di base all’Istituto Neurologico Besta e, poco dopo, cominciò a farsi seguire con costanza da un operatore shiatsu molto esperto che, con un lavoro teso a riequilibrare tutto il corpo, ottenne una certa stabilizzazione della malattia e un incremento dell’efficacia delle cure.
Manuela, che prima era giunta a camminare faticosamente con le stampelle, ora conduce una vita più che accettabile e di nuovo dinamica.
La mia seconda esperienza ha a che fare con l’accompagnamento alla morte di una persona a me molto cara; ciò che più che altro mi preme dire è quanto mi sia parsa sempre più opportuna la necessità di trovare, al di là del supporto psicologico, farmacologico o più tradizionalmente terapeutico, anche altri modi per cercare di aiutare, lenire, curare; necessità che in un qualche modo all’improvviso mi è piombata addosso come una sorta di urgenza, di nuova priorità alla quale dare voce.
Se già da un qualche tempo stavo accarezzando l’idea di iniziare un percorso formativo più incentrato sul corpo, questo dolorosissimo lutto in realtà è stato la molla che, dopo una certa ricerca e disanima tra varie discipline e orientamenti, alla fine mi ha portata alla decisione di intraprendere un percorso formativo triennale di shiatsu.
Del resto, come già aveva rilevato e detto anche Alexander Lowen a New York intorno agli anni ’50, nel porre le basi di quella disciplina che viene chiamata Bioenergetica: “Il corpo non mente, il corpo è una gabbia, un’armatura caratteriale che trattiene tutto; ogni tensione muscolare, ogni contrattura o dolore sono tutti blocchi che impediscono all’energia di fluire liberamente”.
E partendo da questi presupposti, aveva messo a punto una serie di movimenti ed esercizi attivi di scioglimento alternati a momenti di rilassamento e a varie forme di contatto corporeo tra paziente e terapeuta. Non so se Lowen conoscesse i principi dello shiatsu, ma certo si era accostato al Buddismo e al Taoismo, ed è incredibilmente interessante notare quante sottili correlazioni si possono trovare in molta parte dell’impianto teorico di queste due discipline, anche se di fatto si sono poi declinate in maniera assai diversa.
L’idea comunque di poter acquisire e padroneggiare una tecnica che insegni a far stare meglio gli altri nel corpo e attraverso il corpo e, nel contempo, li possa anche aiutare a prevenire possibili disagi, mi è parsa come un’opportunità non solo stimolante ma, forse, a questo punto della mia vita, necessaria per una maggiore completezza.
La mia esperienza di allieva si sta rivelando molto felice, anche perché ho trovato nella Scuola una disponibilità umana e didattica degna di nota, unita a competenze professionali, impegno e zelo. Ho incontrato il desiderio e la volontà di creare un gruppo classe unito e coeso, portato avanti senza tralasciare nessuno, sia attraverso lo studio e l’esercizio che attraverso alcuni momenti di svago e allegra condivisione. Sto vivendo un insegnamento che, certo, è uguale per tutti, ma che all’occorrenza sa declinarsi e a volte individualizzarsi sulla base delle difficoltà e peculiarità di ognuno.
Giorno dopo giorno, attraverso il silenzio e la parola, siamo guidati a metterci in ascolto del corpo dell’altro, ma anche del nostro, e portati ad entrare e ad accogliere con gradualità un nuovo sistema di pensiero assai differente dal nostro e, forse, all’inizio anche un po’ spiazzante, ma che a poco a poco sta cominciando a mettere radici. Un insegnamento che richiede umiltà e rispetto sia da parte dell’insegnante che dell’allievo.
L’umiltà di dover un po’ sbarazzare il campo da tanti concetti e preconcetti, da tanta parte delle nostre conoscenze pregresse e acquisite alle quali tenderemmo sempre ad aggrapparci perché ci rendono sicuri.
E il rispetto vero, non solo dell’altro, ma, più in generale, di un approccio mentale, culturale, psicologico e di cura in senso lato, ancora una volta diverso dal nostro ma non per questo meno valido, dal quale possiamo apprendere moltissimo”.

Sofia Bossi Poroli, grafologa e counselor